Da giovane a veterana…

Testo di: Deborah Scanzio

Durante la mia carriera il mio nome è spesso stato legato all’aggettivo “giovane”. Entrai in squadra nazionale junior a soli tredici anni e mezzo e nel 2002 andai fino in Finlandia per gareggiare ai Mondiali Junior, ma non ci riuscii poiché ero troppo piccola. Un mese prima di compiere i sedici anni feci la mia prima Coppa del Mondo e poche settimane dopo vinsi la mia prima gara di Coppa Europa. Mi ricordo che tutto andava velocemente, mi ponevo degli obiettivi e spesso riuscivo a raggiungerli senza pensarci troppo. Al mio primo anno completo in Coppa del Mondo, nella stagione 2003-04, vinsi il premio “Rookie of the year”. Sognavo di partecipare alle Olimpiadi e a diciannove anni ho realizzato questo sogno. A Torino arrivai 9ª ottenendo il mio miglior risultato a livello mondiale sino a quell momento. Poi l’anno successivo conquistai il primo podio in Coppa del Mondo. Mi ricordo ancora il commento di un giornalista che mi definiva: “la giovane italiana”.

In seguito ho passato alcuni anni difficili, non ero più alla scoperta di un nuovo mondo, avevo ottenuto diversi risultati quasi inaspettatamente e quando iniziai a desiderare di rivivere certe emozioni e certe gioie, mi bloccai. Probabilmente il fatto di pensarci tanto mi rendeva meno naturale e quindi i miei gesti tecnici erano meno fluidi e performanti. Poi ci fu l’infortunio al ginocchio che mi fermò per quasi due stagioni e al mio ritorno non facevo più parte del gruppo delle giovani.

E così, dalla “giovane italiana” sono passata alla “veterana che viene dalla Svizzera”, dopo aver gareggiato per anni con atlete che avevano la mia età e diverse che passavano i trenta, quest’anno mi ritrovo ad essere tre le più anziane del circuito…Come passa il tempo!

Oggi ho solo 28 anni, eppure mi viene da scrivere “al giorno d’oggi” i miei traguardi descritti poco fa non farebbero tanto scalpore, sarebbe semplicemente il percorso normale di uno sportivo d’élite. Nel freestyle moguls, ma penso anche in tanti altri sport, l’età degli atleti che gareggiano e vincono in Coppa del Mondo si é abbassata parecchio. Si inizia sempre più presto ad allenarsi seriamente e di conseguenza si smette prima e molte carriere terminano con atleti non ancora trentenni.

Fortunatamente si possono ottenere ancora ottimi risultati anche se si è tra le veterane del circuito. L’esempio più rilevante è quello della mia coetanea Hannah Kearney, vincitrice di cinque delle ultime sei Coppe del Mondo e attualmente in testa alla generale di Coppa del Mondo. Anche io sto facendo una buona stagione, per il momento mi manca il podio, ma per costanza è la migliore della mia carriera. Finalmente l’esperienza mi sta dando una mano, sono sì diventata una veterana, ma grazie a questo, ho finalmente trovato la giusta serenità per affrontare nel modo giusto gli allenamenti e le gare. Sono tornata a divertirmi e raggiungere i miei obiettivi. Una seconda giovinezza…da veterana!

Cambiamenti

Testo di: Deborah Scanzio

” Eh, già eh, già …io sono ancora qua! ” come canta Vasco in una sua canzone. È il primo brano che mi viene in mente se penso a quanto successo quest’estate. Il dubbio se smettere o continuare, la voglia di tornare in Svizzera, la decisione della FISI di non sostenere più le “gobbe” e infine il problema finanziario nel caso in cui avessi cambiato squadra. In Italia potevo contare sul supporto del Gruppo Sportivo delle Fiamme Azzurre e dedicarmi totalmente allo sci, il ritorno invece, prevedeva la ricerca di un impiego part-time. E così, dopo diversi mesi d’incognite, il tutto si è risolto per il meglio. La FISI mi ha liberato senza problemi, Swiss Ski mi ha accolto positivamente, la FIS ha dato l’ok ufficiale e nel frattempo ho iniziato a lavorare. È un po’ come tornare ai tempi in cui andavo a scuola, si possono fare entrambe le attività, ma è necessario organizzarsi al meglio, pianificare e soprattutto ottimizzare il tempo. Come sto facendo ora: sfrutto le ore in volo per scrivere questo articolo.

Sebbene ci siano dei periodi in cui vorrei che le giornate durassero più a lungo, un desiderio abbastanza comune in una società sempre più stressata, sono contenta della mia “nuova vita”. Proprio alcuni mesi fa scrivevo dell’importanza di prepararsi in anticipo alla carriera post sportiva, io non so ancora quando smetterò di gareggiare, ma credo sia importante iniziare a fare delle esperienze nel mondo del lavoro. La mia fortuna è di avere la possibilità di fare tutto ciò a pochi chilometri da casa e per una società legata alla neve. La Federazione di sci della svizzera italiana ha dato mandato a Valbianca SA, la società appartenente ai comuni di Airolo e Quinto che gestisce gli impianti di risalita di Airolo-Pesciüm, di allestire uno studio di fattibilità per la creazione di un Centro nazionale di allenamento per il freestyle. Inizialmente per le discipline che già si allenano nella località Leventinese: moguls e aerials, in futuro potrebbe aggiungersi anche lo skicross.

Con la creazione di un Centro nazionale si potrebbe migliorare la qualità degli allenamenti grazie alla realizzazione di strutture omologate per gare di Coppa del mondo, inoltre l’innevamento artificiale permetterebbe di iniziare gli allenamenti già nel mese di novembre e svolgerli anche in caso d’inverno povero di neve.

Io mi occuperò di questo studio, sostenuta ovviamente da esperti in materia. Lo scopo sarà analizzare costi, finanziamenti, analisi del mercato e le possibili sinergie con altre attività nella regione. Inoltre bisognerà redigere un contratto con l’Ufficio federale dello sport e con Swiss-Ski per garantire il funzionamento del Centro a lungo termine.

Insomma, un progetto importante e molto interessante per me che abito a Piotta, mi piace vivere in Leventina e ho sempre desiderato poter partecipare attivamente alla crescita economica di questa regione. Inoltre, ho imparato a sciare ad Airolo e scoperto il freestyle in questa stazione, con la realizzazione di questo progetto penso che il freestyle possa crescere parecchio in Svizzera, un altro sogno che si realizza proprio dove la mia carriera è iniziata…

La crescita di un piccolo sport

Testo di: Deborah Scanzio

Nel mondo esistono diverse categorie di sport. Quelli più popolari e conosciuti sono spesso i più praticati, i più amati e seguiti dalla popolazione. Alcuni sport sono addirittura il biglietto da visita di alcune nazioni, pensi a una squadra, a un atleta o a una disciplina e ci associ un Paese: Federer e la Svizzera, gli “All Blacks” e la Nuova Zelanda, lo sci e l’Austria, il calcio e l’Italia, l’hockey e il Canada, ecc.

L’importanza attribuita ad uno sport dipende da molti fattori, alcuni di questi sono la sua storia e popolarità all’interno di una nazione, il numero di tifosi che seguono gli eventi, l’impatto mediatico e il numero di sponsor. Tutto ciò genera un circolo vizioso, più spettatori seguono una squadra, più i media ne parlano e di conseguenza sarà più facile trovare i fondi per investire in quello sport.

La tradizione è sicuramente un altro punto rilevante per definire l’importanza di uno sport a livello regionale, nazionale o mondiale. Ci sono discipline che sono presenti ai Giochi Olimpici sin dall’antichità o dalla prima edizione dell’era moderna, nel 1896 ad Atene. Il loro passato è incomparabile con sport nati da pochi anni. Bisogna dunque fare una distinzione tra gli sport classici e quelli moderni…come il freestyle, presente ai Giochi dal 1992.

Dopo una lunga introduzione, come sempre, torno a parlare della mia passione. Nonostante il freestyle sia uno sport giovane, in alcuni Paesi, penso soprattutto al Canada, ha già una buona tradizione. Le numerose medaglie conquistate alle Olimpiche dagli atleti nordamericani permettono al loro Paese di considerare il freestyle come una garanzia di successo. Gli ottimi risultati raggiunti da questi atleti sono il frutto di un sistema ben organizzato. I giovani freestyler sono seguiti sin dall’inizio da ottimi allenatori, hanno le strutture necessarie per allenarsi al meglio e sono un gruppo abbastanza grande per creare una sana competitività. Nel nostro piccolo Ticino, mi riferisco alla disciplina moguls, stiamo cercando di prendere spunto dal sistema vincente dei canadesi. A livello d’infrastrutture direi che abbiamo delle buone basi; la rampa di water jump al CST di Tenero è un grande vantaggio per gli atleti locali, non tutte le squadre hanno la fortuna di potersi allenare sui salti regolarmente e vicino a casa. Per quanto riguarda le gobbe, abbiamo due piste: una più tecnica a Prato Leventina e una ideale per chi è alle prime armi ad Airolo. Per permettere ai nostri atleti che gareggiano in campo internazionale di allenarsi al meglio, necessitiamo però di un tracciato simile a quelli in Coppa del Mondo. A tal proposito, è già in corso uno studio per perfezionare anche questo punto.

Dunque, tornando al paragone con i migliori, cosa ci manca per competere con loro? Un numero maggiore di atleti. Da qualche anno, Swiss Ski ha ricominciato ad investire maggiormente nelle gobbe, sono già stati ottenuti ottimi risultati, ma per poter crescere ulteriormente ci vuole un bacino di atleti più grande. Se non promuovi uno sport, le persone non possono amarlo, conoscerlo e praticarlo e quindi non hai i numeri necessari per creare la giusta competizione interna. Al momento solo la FSSI, l’accademia di freestyle EYFA ed alcuni club ticinesi si occupano di sostenere il freestyle moguls in Svizzera. Malgrado gli attori coinvolti non siano molti, la loro ottima collaborazione sta sviluppando un sistema molto funzionale. Ora gli atleti seguono una precisa scala di progressione con specifici allenatori; solo quando raggiungono un determinato livello, proseguono a quello successivo, arrivando così, molto più preparati in Nazionale. Il prossimo passo è aumentare il numero di club che propone questo sport ai suoi membri, poi in Ticino avremo una struttura molto efficiente.

Tra passato e presente…ricordi e scelte difficili!

Testo di: Deborah Scanzio

Mi ricordo ancora quando ho cominciato a fare freestyle, avevo circa 10 anni e andavo a sciare con lo Sci Club Airolo assieme a mio fratello e altri amici. Eravamo nel gruppo “tutti i frutti” e già il nome dava l’idea di che bambini fossimo. Lo sci alpino non ci piaceva, ci sembrava troppo serio, noi volevamo solo sentirci liberi, divertirci e fare i salti. Un giorno ricevemmo dallo Sci Club delle proposte per delle giornate alternative, tra le attività c’era anche il freestyle. Fu amore a prima vista, era il nostro sport e così decidemmo di continuare e creare il Freestyle Team Airolo. Andavamo spesso a Cioss Prato, in Val Bedretto, dove potevamo costruire il nostro salto e la nostra “pista di gobbe”: dei buchi qua e là tra i quali sciavamo, o meglio…io scendevo muovendo le anche a destra e sinistra. Ho ancora dei filmati che spesso mostro quando vado a parlare alle scuole, mi piace trasmettere il messaggio che non solo chi ha talento può andare lontano. Sì, perché in quei video nessuno avrebbe immaginato che da lì a una quindicina d’anni avrei partecipato a tre Olimpiadi. Eravamo buffi, ma quanto ci siamo divertiti. Andare a sciare mi faceva stare bene, non pensavo a nulla. In poco tempo le cose si sono fatte più serie, dopo qualche anno di Coppe Ticino e Coppe Svizzere, nel 2000 sono entrata in nazionale svizzera, avevo poco più di tredici anni. Tutto diventò più serio, le gare non erano più regionali ma internazionali, così gli obiettivi crescevano…il sogno di esordire in Coppa del Mondo e chissà…forse partecipare anche alle Olimpiadi. Andò tutto talmente veloce, che non mi ricordo quando ho smesso di essere spensierata e godermi ogni momento sulla neve e ho iniziato a pensare solo a migliorare e diventare più forte. Nella primavera del 2002 parlai delle Olimpiadi di Torino 2006 con l’allenatore di Coppa del Mondo di allora, ma poco dopo lui lasciò la nazionale elvetica per allenare il suo Paese, la Francia. Ci rimasi molto male e mi sentii un po’ persa…e ora? Il piano a lungo termine che immaginavo non c’era più, anzi, l’impressione era che in quel periodo a Swiss Ski non interessasse investire nelle gobbe. A quel punto spuntò l’opzione Italia. Il dilemma era: restare in patria, pagarmi tutte le spese e non avere un piano serio oppure; cambiare bandiera, andare in un’ottima struttura tecnica, allenata da un ticinese e in una squadra di coetanei che parlavano la mia stessa lingua? Dalla serie…smettere o cambiare? La scelta sembrava logica, ma non fu facile decidere, avevo solo 15 anni e mezzo e fino ad allora mi ero sempre considerata solo Svizzera, seppur i miei nonni sono tutti Italiani. I primi anni da azzurra furono perfetti, l’ambiente era bello, i giornali e la gente in Ticino capirono la mia situazione e mi sostennero comunque. E soprattutto, raggiunsi il mio sogno: le Olimpiadi! Dopo i Giochi di Torino, sono finiti i soldi e piano piano tutto è peggiorato. Tra il 2008-2010 presi un allenatore privato perché mi sembrava che la FISI non facesse abbastanza e io ero al top della mia carriera, ma non andò come sperato. Dopo Vancouver è iniziata la collaborazione tra Svizzera e Italia e le cose sono migliorate. Altra Olimpiade, altra novità, per la stagione 2014-15 la FISI non investirà più nelle gobbe. Mi sembra di tornare indietro di 12 anni…E ora?? Un’idea ce l’ho…ma ne riparliamo a settembre…

Quando è il momento di dire basta?

Testo di: Deborah Scanzio

Ci sono diversi punti da prendere in considerazione quando ci si trova davanti al bivio se proseguire la carriera sportiva oppure cambiare vita. Bisogna porsi molte domande e ci sono alcuni fattori che devono collegarsi tra loro. Se da una parte sono fondamentali la motivazione e la voglia di continuare a praticare lo sport, è altresì importante il fattore economico. Bisogna garantirsi una sicurezza finanziaria per vivere e dedicare il tempo necessario agli allenamenti.

La famiglia e l’ambiente di lavoro, sono altri elementi che influenzano le nostre scelte. Per atleti di una certa età e già genitori, non è facile passare dei lunghi periodi lontani da casa, alcune donne invece smettono proprio per diventare madri. Mi ricordo un episodio accaduto ad una donna americana che gareggiava con me. Durante i Giochi di Vancouver, suo marito, che spesso la seguiva e allenava alle gare, non riuscì ad ottenere il pass per accedere alla zona dove si posizionavano gli allenatori. Pare che dopo il primo allenamento lei pianse per tutto il giorno. Non accettava che a trentacinque anni, aveva atteso e forse rinunciato a costruire una famiglia per inseguire una medaglia e lui non era in pista con lei. Mi sono chiesta più volte cosa avrei fatto al suo posto. Alcuni potrebbero dire, in fondo è solo sport, vale la pena arrivare a tanto per una medaglia o per un Olimpiade? Chi invece ha lottato a lungo per riuscirci e non ce l’ha fatta, forse direbbe: “sì, ne vale la pena”. Ci sono sempre due lati della medaglia.

Si dice anche: “chiusa una porta se ne apre un’altra”. Immagino che faccia un po’ paura ritirarsi, dopo essere cresciuto nel mondo dello sport e aver fatto il professionista per diversi anni, si fa fatica a vedersi in un altro ruolo. Ma è così per tutti, per chi finisce la scuola e inizia a lavorare, chi cambia professione o chi l’abbandona per stare con i figli. Sono i cambiamenti a crearci i dubbi, ma allo stesso tempo, ci danno nuovi stimoli.

Non si può programmare tutto, ma più prevediamo le nostre prossime mosse e più saremo pronti ad affrontarle. La carriera di uno sportivo non si sa mai quanto può durare, se si ha la fortuna di poter scegliere quando smettere, allora conviene farlo quando si ha già un piano per il dopo sport.

Per finire, ci sono l’età e il fisico, probabilmente i due fattori più incisivi nella scelta del proprio futuro. A volte la mente vorrebbe continuare, ma il corpo ha già dato tutto. Capita però, sempre più spesso, che molti atleti si ritirano prima dei trent’anni con già alle spalle anni e anni di professionismo. L’età in cui si gareggia ad alto livello si abbassa sempre di più e anch’io, che non mi ritengo “vecchia”, mi sono chiesta se continuare o no. Con i ritiri post-olimpici, sarò una delle veterane e a volte ti senti a disagio a gareggiare contro ragazze di quasi dieci anni in meno di te. Io però, sento che la voglia di sudare ed impegnarmi non mi manca, anzi, più passano gli anni e più apprezzo il mio lavoro. Dunque, non è ancora tempo di smettere…

Domande e risposte Olimpiche…

 

Testo di: Deborah Scanzio

“Vai e goditela” oppure “Non pensare a nulla e divertiti”. Sono alcuni modi di dire che ho sentito prima di partire per Sochi. Frasi di circostanza o provenienti dal cuore per tranquillizzarti e darti appoggio, frasi che probabilmente io stessa direi in quei momenti. Al ritorno le persone mi chiedevano: “Allora? Come è andata? Com’era Sochi?” Avevo l’impressione che se non rispondevo “Bellissimo, è stato fantastico!” restavano delusi.

Mi sono accorta di essere in difficoltà di fronte a semplici e normali domande, ho così iniziato a chiedermi, in modo più profondo, quali fossero state le mie reali emozioni.

Cosa s’intende per “Ti sei divertita?” Prima, durante o dopo la gara? Ho vissuto talmente tante emozioni contrastanti, che non sapevo cosa rispondere. Credo sia così anche per gli altri atleti. Prima della gara è stato difficile godermi le Olimpiadi, anche nelle due edizioni precedenti. In realtà non so nemmeno cosa intenda la gente per “godersi”. Immagino che i Giochi siano stressanti per tutti, ma per chi pratica delle discipline “minori” lo è ancora di più. Non sei abituato a tanti riflettori. Ti dicono di non farti influenzare da chi ti guarda da casa, lo sai anche tu, ma è umano che ogni tanto la tua mente ci pensi. C’è chi ti segue da tempo, ma non ti vede mai e non vuoi fare una brutta figura in mondo visione. Se poi hai solo una gara, una sola opportunità ogni quattro anni, è difficile immaginarsi di essere sereno e tranquillo prima della competizione. Non è facile gestire lo stress e l’adrenalina in partenza a un evento così importante, ma sono proprio queste emozioni forti che ti fanno sentire viva.

Arriva il grande giorno, fai del tuo meglio, ma il risultato è discreto, in linea con la stagione, ma non buono come desideravi. Sai di averci davvero provato e quindi sei serena e senza grandi rimpianti. Alle Olimpiadi però, contano solo le medaglie e non sai cosa rispondere alla domanda: “Soddisfatta?” Sembra fuori luogo dire di sì. Soprattutto se in passato sei arrivata 9ª e 10ª. Se però si tiene conto delle attese e delle reali possibilità di salire sul podio, il grado di felicità varia da persona a persona.

Finito il grande stress, che sia andata come desideravi, oppure no, hai l’impressione di pesare diversi chili in meno. Leggi con piacere i messaggi di parenti, amici, conoscenti o sconosciuti e il lato positivo di praticare uno sport poco seguito è che per loro…sei sempre brava. Tutti ti fanno i complimenti, alcuni addirittura ti ringraziano per le emozioni trasmesse. Nel tuo piccolo, hai lasciato un segno. E così, tutti i tuoi sforzi e sacrifici per partecipare alle Olimpiadi hanno un senso più profondo.

Ripensando alle emozioni, l’entrata nello stadio olimpico durante la cerimonia di apertura è stato un momento molto intenso. Non mi sembrava vero di essere lì a sfilare assieme a tanti campioni, molti dei quali tifo e seguo come una normale fun. Mi è piaciuto anche passeggiare per il villaggio e salutare persone che non sapevo nemmeno chi fossero, ma solo perché rappresentavamo la stessa nazione, ci facevamo un cenno. Oppure incontrare in giro i “vip” come Svindal e allo stesso tempo un simpatico rappresentate della Jamaica. Questo è lo spirito olimpico, tutti assieme indipendentemente dallo sport e dalla fama.

Si ricomincia!

Testo di: Deborah Scanzio

Dopo tanti mesi passati a prepararsi arriva finalmente il momento in cui s’inizia a gareggiare. Immagino che ogni sportivo affronti i giorni o le settimane antecedenti alla nuova stagione con differenti emozioni: curiosità, entusiasmo, ansia, attesa, speranza, ecc. Personalmente, provo tutte queste sensazioni. Sono curiosa di vedere il mio valore ora che sono completamente guarita dall’infortunio al ginocchio. In passato non ho mai provato un feeling così buono durante gli allenamenti, sono diventata più solida. Il mio entusiasmo deriva da quasi due anni fuori dal circuito internazionale, le gare che ho svolto lo scorso mese di marzo le considero degli allenamenti. Mi sento cambiata. Crescendo si affrontano situazioni difficili che ti fanno maturare. Impari a dare il giusto peso alle differenti situazioni. Una volta in un tema scrissi: “forse, è anche grazie ai momenti brutti, se quelli belli sono speciali.” Sono tornata a divertirmi quando scio, perché in fondo, anche se è il mio lavoro, si tratta pur sempre di sport. A volte non va come vorremmo, ma i problemi gravi, sono altri. Non un allenamento andato male o una gara sbagliata. Malgrado mi senta più sicura dei miei mezzi, l’ansia fa ancora parte del mio essere. La paura che le mie aspettative non vengano soddisfatte è un pensiero che mi passa per la mente. Fortunatamente non è ricorrente. L’attesa è legata all’ansia, probabilmente più è grande e più la paura cresce. Con un buon lavoro mentale, si può tenere tutto sotto controllo. Infine troviamo la speranza, il desiderio che i nostri sogni e obiettivi si realizzano. Vorresti che i pesanti sforzi e i numerosi sacrifici siano premiati dai buoni risultati.

Inizialmente ho scritto che “finalmente” l’inizio di stagione è vicino, un semplice avverbio, ma che per me ha un grande valore. Nel freestyle il periodo di preparazione alle competizioni è molto lungo, sono più i mesi di allenamento che quelli in cui si gareggia. Nonostante ciò, si riesce ad arrivare al primo appuntamento con l’agitazione di non essere pronti o non aver curato tutti i dettagli. Insomma, si vorrebbe ulteriore tempo per allenarsi. Probabilmente per una pignola come me, ci sarà sempre qualcosa che si può migliorare, ma è bello dire con tutta onestà: “sono stufa di allenarmi, non vedo l’ora che inizino le gare!”. Non sono diventata pigra, ma semplicemente mi sento pronta.

Si dice spesso “step by step”. Passo dopo passo. Un’affermazione classica nel mondo dello sport. A volte quasi noiosa da sentire, eppure, tanto banale quanto efficace. Credo che a focalizzarsi unicamente sull’obiettivo finale, si corra il rischio di dimenticare come arrivarci. In un anno Olimpico, spesso il focus è rivolto unicamente a quell’evento. Io voglio essere a Sochi e giocarmi le mie carte, ma per sognare in grande, prima devo concentrarmi sul presente, sul mio miglioramento costante e sulle gare di Coppa del Mondo. Il resto verrà da se….

In Australia si può sciare

Testo di: Deborah Scanzio

“Hey! How are you today?” Ti volti e vedi il grande sorriso di una persona sinceramente interessata a come ti senti e cosa ci fai lì, nel loro Paese. Sono gli australiani. Chi ha avuto il piacere di soggiornare nella “terra dei canguri” sa cosa intendo. La gente è sempre gentile, cordiale e disponibile. Si entusiasmano per eventi che noi europei spesso nemmeno notiamo. Pensi all’Australia e immagini il deserto, Alice Rock, le lunghe spiagge bianche e la barriera corallina. Insomma, un paesaggio che ha poco in comune con gli sport invernali. Pensandoci attentamente però, non è poi così sorprendente che in una nazione grande quasi quanto l’Europa si possa sciare. Si pratica nel Nuovo Galles del Sud e in Victoria, anche se, quelle che loro chiamano montagne a me ricordano le colline. Il Monte Kosciuszko, il più alto dell’isola, si trova a 2’228 metri di altidutine.

Ho vissuto per tre settimane a Jindabyne, un paese a circa 450 chilometri a sud di Sydney; per andare a Perisher ski Resort, nelle Snowy Montains, ci impiegavamo un quarto d’ora d’auto e poi mezz’ora per salire in treno. Nonostante i prezzi dei biglietti siano piuttosto elevati, durante il mio soggiorno ho incontrato molta gente sulle piste, anche quando il tempo era pessimo, la neve troppo molle e il vento soffiava fortissimo. Come chi vive in montagna e si reca al mare per cercare calore e paesaggi diversi, gli australiani abbandonano le spiagge e l’afa per andare a sciare. Alcuni per una sola volta l’anno e altri per più fine settimana. Anche alcune scuole organizzano i corsi sulla neve.

L’inverno australiano non è paragonabile a quello che ho visto in Argentina, in comune direi che hanno solo il periodo in cui si svolge. A Perisher la neve si è fatta attendere e quando è caduta, poco dopo sono salite le temperature. In molti hanno definito questa stagione come una delle peggiori di sempre. Il tre settembre, durante l’ultimo giorno di allenamento, abbiamo sciato con quindici gradi, mentre a Ushuaia ce n’erano trenta in meno. Analizzando i pro e contro di entrambe le località, lo staff tecnico ha deciso di tornare dove l’anno scorso la squadra si era preparata bene e non cambiare programma in un anno olimpico. Anche la maggior parte degli altri team di freestyle ha scelto l’Australia, ma molti, arrivati a metà agosto, non si sono allenati molto. La pista “Toppa’s dream” ha potuto essere costruita solo verso metà agosto e il loro soggiorno terminava poco dopo. Noi fortunatamente siamo giunti al momento giusto. Con me sono venuti l’italiano Matiz e i ticinesi Nicole Gasparini, Marco Tadé e Tristano Martini, tutti seguiti dal nostro allenatore Fred Weiss, al secondo anno con noi. Sono davvero soddisfatta di come siano andati gli allenamenti, sebbene la neve fosse più primaverile che invernale, ho sfruttato tutti i tredici giorni a disposizione nelle gobbe per lavorare su diversi aspetti, soprattutto sulle discese intere. Non sono ancora perfette, ma sento di avere una base più solida rispetto al passato.

I cambiamenti: L’evoluzione dello sport e l’obbligo di adattarsi!

Testo di: Deborah Scanzio

Mi ricordo quando ho iniziato a praticare il freestyle, avevo appena dieci anni ed ero una pazza, il pericolo non sapevo cosa fosse, l’importante era sciare veloce e saltare grande. Il tutto, ovviamente, relativizzato a una bambina di quell’età. Con gli anni ho capito che il carattere che portavo in pista era lo stesso di tutti i giorni, in quel periodo ero spensierata e menefreghista, con il tempo sono diventata più riflessiva e prudente, sono cresciuta! Sono passati più di quindici anni da quando per gioco, assieme a mio fratello e ad alcuni amici, mi sono avvicinata al freestyle e da allora la tecnica è evoluta tantissimo. Come in tutti gli sport, l’età in cui s’inizia a “fare sul serio” si abbassa sempre di più e il modo di praticare la disciplina evolve.

Infatti, ho iniziato tentando di tenere le braccia strette mentre sciavo nelle gobbe e per fare un salto mi piegavo e alzavo più che potevo, convinta che così sarei andata più in alto. Ora mi sforzo di allargare le braccia e di arrivare tesa e dura sul trampolino. Ma quanto è difficile cambiare un movimento che esegui da anni? Sarebbe stato più semplice apprendere queste nozioni all’inizio, piuttosto che cambiarle a ventisei anni, ma ai tempi la tecnica era diversa. Da giovane ti lanci senza riflettere troppo, non è sempre ideale, ma a livello mentale è molto più divertente. Con il passare del tempo, prendi coscienza dei pericoli e l’adrenalina si trasforma in paura, poi però, l’esperienza compensa l’imprudenza e piano piano tutto diventa automatico.

Oltre al gesto tecnico da adattare, c’è una barriera psicologica da abbattere. Le tue certezze e sicurezze vengono messe in dubbio, quando inizi a eseguire bene e con sicurezza un movimento, è già ora di renderlo più efficace. Più passa il tempo e più pensi che sia impossibile cambiare degli automatismi, cerchi di ottenere il massimo da quello che sai fare, ma ad un certo punto non basta più. È dura accettare che prima eccellevi nei salti e ora sei una delle tante. Puoi accontentarti, oppure ricominciare da capo.

Nel mese di giugno, durante il primo camp di water jump a Mettmenstetten, dove si allenano gli atleti svizzeri di aerials, mi sono presentata con scetticismo. Da buona tradizionalista, non vedevo il senso di “perdere tempo” saltando su di un trampolino che nelle gobbe non troveremo mai. L’idea del nostro allenatore era quella di lavorare sulle basi e sull’adattamento a situazioni diverse. Avevo due scelte: lamentarmi per una settimana o sfruttare l’occasione per imparare qualcosa di nuovo e molto utile anche sulla neve. Ho scelto la seconda!

Ho aperto la mente e mi sono rimessa in gioco, come una sedicenne provi, sbagli, cadi, ma ti rialzi e continui. Non ero più spensierata e imprudente, ma finalmente più sicura e aperta alle novità. Sai che se non funziona, puoi tornare indietro nella tua “confort zone”. Quante volte ho cercato di applicare questa teoria, ma poi la paura mi bloccava, non mi fidavo di me stessa e ogni variazione mi portava alla mente il pensiero di un possibile infortunio. Pensavo di non avere le capacità, chi lavorava con me ha sempre tentato di convincermi del contrario, ma se non sei la prima a crederci, il resto non conta. Non so cosa mi abbia portato a questo “clic psicologico”, forse l’infortunio, il tempo o probabilmente la voglia di raggiungere i miei obiettivi. Ho sempre lavorato sodo per ottenere buoni risultati, ma negli ultimi anni non ho raccolto i frutti sperati, dovevo dunque rivalutare le mie convinzioni.

Pensa a cosa vuoi e lavora per arrivarci!

Testo di: Deborah Scanzio

Quando si parla di sport, la parola d’ordine è obiettivi. Nelle interviste, molte volte, la cosa più interessante per i giornalisti è sapere il tuo piano. In effetti, è davvero una cosa fondamentale. La maggior parte degli sportivi si nasconde o non osa dire ciò che ha nella sua mente, spesso sono gli allenatori o le società a consigliarti di non svelare le tue carte. Cercano di proteggerti o proteggersi da ulteriori pressioni. Quando sono dalla parte della tifosa, leggere le classiche risposte a volte mi annoia un po’. È tutto scontato. D’altronde, si dice che per aver una mentalità vincente, bisogna partire con l’obiettivo di arrivare sempre primo. Dunque è normale che le risposte siano banali. Da atleta mi comporto come gli altri, dici tanto, ma alla fine sembra che, se non parli di numeri, non dici nulla. Non è sempre per nascondersi, ma ho capito come bisogna formulare gli obiettivi. Da quando lavoro con Roberto Joss, il mio preparatore mentale, ho imparato a concentrarmi su ciò che posso controllare, e non pensare ai numeri. Se ti focalizzi su un numero, ad esempio, “voglio arrivare tra le prime cinque”, non è sotto il tuo controllo, puoi fare il tuo massimo, senza errori, e arrivare sesta perché altre cinque persone sono state migliori di te. Allora hai fallito? Secondo ciò che ti eri prefissata sì. Se invece il tuo fine è fare un salto in un determinato modo, scendere in un certo tempo e sciare pulito. Fai tutto questo e arrivi sesta, hai ancora fallito? No, hai fatto ciò che era nei tuoi mezzi in quella giornata. Non accontentarti, ma sii realista quando ti poni un traguardo. Parlati positivamente e cancella la parola “non”. Ogni volta che non vuoi fare qualcosa, finisci per farla e di solito è un errore. “Spero di non cadere”….e poco dopo ti ritrovi a terra. “Non devo frenare prima del salto”…rallenti, sbagli l’entrata del trampolino e sei fuori. Fateci caso, quante volte vi è capitato? Tante. Quando inizi a notarlo, rischi di andare in tilt ogni volta che in partenza a una gara un pensiero di questo tipo ti attraversa la mente, cerchi di scacciarlo ma perdi la giusta tranquillità che necessiti in quel momento. Imparare a formulare pensieri positivi richiede tempo, sarebbe più facile se lo imparassimo all’asilo, ma fortunatamente con la costanza diventa automatico e funzionale. Un altro punto fondamentale è la capacità di analizzare: conoscere i propri limiti e, soprattutto, focalizzarsi su cosa si può fare per migliorare (a livello tecnico, mentale, fisico a breve, medio e lungo termine). Se non sai dove vuoi andare, non ci arriverai mai, ma quando trovi la meta, devi sapere come arrivarci. Gli obiettivi sono la forza che ti spingono ad andare avanti quando ti senti sfinito, scoraggiato o demotivato; se sei un combattente e non sopporti stravolgere i tuoi piani, allora, non mollerai e arriverai lontano. Nella vita di tutti i giorni funziona esattamente allo stesso modo…